Nel contesto del procedimento disciplinare, il datore di lavoro può ricorrere a indagini per accertare comportamenti scorretti del dipendente, ma tali controlli devono rispettare i limiti fissati dalla legge e dalla giurisprudenza.
Il potere di controllo datoriale, espressione dell’art. 2086 c.c. ( https://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quinto/titolo-ii/capo-i/sezione-i/art2086.html )e regolato dagli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, non può mai comprimere la dignità e la riservatezza del lavoratore.
PROCEDIMENTO DISCIPLINARE: QUANDO LE INDAGINI SONO LEGITTIME
La Cassazione ha più volte chiarito che è lecito l’utilizzo di agenzie investigative o di personale esterno solo quando l’attività di controllo non riguardi l’adempimento della prestazione lavorativa in senso stretto, ma sia finalizzata ad accertare comportamenti fraudolenti, penalmente rilevanti o lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale (Cass. 8 giugno 2011, n. 12489; Cass. 9 ottobre 2020, n. 21888; Cass. 3 febbraio 2025, n. 2565; Cass. 12 febbraio 2025, n. 3607).
È, pertanto, ammesso il pedinamento del dipendente fuori dall’orario di lavoro per verificare, ad esempio, l’uso improprio dei permessi ex legge 104/1992 o l’indebita percezione di rimborsi, purché il controllo avvenga in luoghi pubblici e non mediante strumenti di sorveglianza a distanza (Cass. 4 marzo 2014, n. 4984; App. Roma, 5 ottobre 2021, n. 3415).
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ E CORRETTEZZA NELLO SVOLGIMENTO DELLE INDAGINI
Ogni controllo deve essere proporzionato e giustificato da ragioni gravi.
In caso contrario, le risultanze investigative sono inutilizzabili, rendendo illegittimo il licenziamento basato su di esse (Trib. Milano, 28 aprile 2009).
L’impiego di investigatori privati, inoltre, deve essere tracciabile: la mancata indicazione dei nominativi degli agenti che hanno svolto l’indagine comporta la nullità delle risultanze (Cass. 11 ottobre 2023, n. 28378).
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24558 del 4 settembre 2025, ha ribadito che i risultati delle indagini devono essere accessibili al lavoratore già in sede di procedimento disciplinare.
Sebbene l’art. 7 L. 300/1970 non imponga formalmente tale obbligo, la condivisione dei documenti è richiesta dai principi di correttezza e buona fede (Cass. 50/2017; Cass. 21 novembre 2024, n. 30079).
Negare l’accesso ai documenti su cui si fonda la contestazione compromette il diritto di difesa e può portare all’annullamento del licenziamento, come avvenuto nel caso della lavoratrice licenziata per abuso dei permessi 104/1992.
LE GARANZIE NEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
La procedura disciplinare resta vincolata ai principi dell’art. 7 Statuto dei Lavoratori:
- contestazione scritta, tempestiva e specifica;
- diritto del lavoratore a presentare giustificazioni entro cinque giorni;
- possibilità di richiedere l’audizione personale;
- divieto di modificare l’addebito nel corso del procedimento (Cass. 10 marzo 2025, n. 6317; Cass. 27 maggio 2024, n. 14726).
L’omissione di tali garanzie, o l’adozione di controlli in violazione della privacy, determina la nullità del provvedimento disciplinare.
CONCLUSIONI
Le indagini aziendali possono rappresentare uno strumento legittimo di tutela del patrimonio e dell’immagine d’impresa, ma devono essere condotte con trasparenza, proporzionalità e rispetto del diritto di difesa del lavoratore.
In caso contrario, ogni provvedimento disciplinare adottato sulla base di accertamenti viziati rischia di essere dichiarato illegittimo in sede giudiziaria.
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