Con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025 ( https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2025:118 ), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 ( https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/3/6/15G00037/sg ), nella parte in cui prevede che l’indennità risarcitoria per i licenziamenti illegittimi non possa “in ogni caso superare il limite di sei mensilità” dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR.
IL CONTESTO NORMATIVO
La norma censurata disciplina il trattamento economico spettante ai lavoratori licenziati da datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore alle soglie previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (quindi meno di 15 lavoratori).
In tali ipotesi, l’indennizzo previsto era dimezzato rispetto a quello dei lavoratori occupati in imprese di maggiori dimensioni (con più di 15 dipendenti) e, soprattutto, rigidamente contenuto entro un tetto massimo di sei mensilità per ogni anno di servizio, a prescindere dalla gravità del vizio ravvisabile nel licenziamento.
IL CASO E LE MOTIVAZIONI DEL LAVORATORE
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Livorno, perchè si è ritenuta quella disposizione normativa lesiva:
- del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), per l’irragionevole parificazione di fattispecie disomogenee;
- del diritto al lavoro e alla sua tutela (artt. 4 e 35 Cost.);
- della libertà e dignità del lavoratore (art. 41, comma 2, Cost.);
- del diritto ad una tutela effettiva ed efficace contro i licenziamenti illegittimi (art. 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 24 della Carta Sociale Europea).
Il tetto invalicabile impedisce, infatti, al giudice di adeguare l’indennizzo alla concreta gravità della violazione e alla specificità della situazione del lavoratore, annullando la funzione deterrente della sanzione.
LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che tale rigidità normativa determina una tutela “standardizzata e forfetaria”, INADATTA a risarcire efficacemente il danno subito dal lavoratore e contraria ai principi costituzionali.
In particolare, la Corte ha chiarito che:
- un’indennità risarcitoria rigida e predeterminata non può garantire un’adeguata personalizzazione del ristoro;
- il numero di dipendenti, da solo, non è più un indicatore affidabile della forza economica dell’impresa, soprattutto alla luce dei mutamenti produttivi e tecnologici;
- non è giustificabile comprimere la tutela del lavoratore solo per il fatto di operare in una “piccola” impresa, soprattutto in assenza di criteri più articolati (es. fatturato, patrimonio, volume d’affari) già previsti dalla normativa europea (Direttiva delegata UE 2023/2775 e raccomandazione CE 2003/361).
Pur riconoscendo la legittimità del dimezzamento delle indennità rispetto ai valori massimi ordinari, la Corte ha ritenuto incostituzionale il limite massimo fisso delle sei mensilità, che nega al giudice qualsiasi margine valutativo.
UN PASSO AVANTI NELLA TUTELA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI
Con questa sentenza, la Corte prosegue nel solco tracciato dalla sentenza n. 183/2022, riaffermando l’esigenza che anche nel contesto delle piccole imprese l’indennizzo:
- sia personalizzato e commisurato alle circostanze concrete;
- mantenga una funzione deterrente, scoraggiando licenziamenti arbitrari;
- rispetti la dignità del lavoratore, garantendo una compensazione congrua.
La sentenza può rappresentare, quindi, un invito rivolto al legislatore, affinché riveda organicamente la disciplina delle tutele indennitarie, superando meccanismi rigidi e ispirandosi a criteri più equi e proporzionati.










