Il patto di non concorrenza è un accordo tra datore di lavoro e lavoratore, con cui quest’ultimo si impegna a non svolgere attività in concorrenza con l’ex datore dopo la cessazione del rapporto. La finalità dell’istituto è tutelare il patrimonio immateriale dell’impresa (know-how, clientela, strategie), evitando che venga immediatamente trasferito a un concorrente.
LA DISCIPLINA NORMATIVA: ART. 2125 C.C.
La disciplina legale del patto è contenuta nell’articolo 2125 del Codice Civile, che stabilisce che il patto:
- deve essere redatto per iscritto;
- deve prevedere un corrispettivo adeguato per il lavoratore;
- deve essere limitato quanto a oggetto, tempo e luogo;
- non può eccedere i limiti imposti dalla legge, pena la nullità.
I REQUISITI DI VALIDITÀ DEL PATTO
Affinché il patto sia valido devono coesistere i seguenti requisiti:
- forma scritta;
- oggetto determinato ovvero indicazione specifica delle attività vietate;
- limiti temporali: non oltre 3 anni per lavoratori subordinati e 5 anni per dirigenti;
- limiti territoriali e merceologici: devono essere congrui e proporzionati all’attività aziendale;
- corrispettivo proporzionato: deve essere adeguato al sacrificio imposto al lavoratore.
In assenza di anche solo uno di questi elementi, il patto è NULLO (Cass. 2.5.2000, n. 5477).
L'EQUILIBRIO TRA INTERESSE AZIENDALE E TUTELA DEL LAVORATORE
La giurisprudenza ha chiarito che il patto non può limitare eccessivamente la possibilità del lavoratore di reperire un’occupazione compatibile con la propria professionalità.
Esempio di un patto che il Giudice del Lavoro ha considerato nullo:
“Un patto che vieta di operare in un settore troppo ampio o su tutto il territorio nazionale, senza alternative professionali, è illegittimo” (Cass. 10.9.2003, n. 13282; Cass. 4.4.2006, n. 7835).
A QUANTO DEVE AMMONTARE IL CORRISPETTIVO IN DENARO CHE SPETTA AL LAVORATORE?
Come già detto, per essere valido, il patto di non concorrenza deve prevedere un corrispettivo adeguato in favore del lavoratore.
Tale compenso rappresenta la contropartita economica per la limitazione dell’attività professionale imposta al dipendente una volta cessato il rapporto di lavoro.
Non è sufficiente un riconoscimento meramente simbolico: il corrispettivo deve essere proporzionato al sacrificio richiesto.
La giurisprudenza ammette che il corrispettivo possa essere erogato anche durante il rapporto di lavoro, a condizione che:
- non sia collegato esclusivamente alla durata del rapporto stesso;
- sia predeterminato o comunque determinabile;
- non sia soggetto ad aleatorietà che ne pregiudichi la funzione compensativa (App. Milano, Sez. lav., 28 dicembre 2017, n. 1884).
In termini quantitativi, non esiste una soglia legale fissa, ma alcuni orientamenti giurisprudenziali offrono indicazioni di riferimento.
In sintesi, la congruità del corrispettivo è uno degli aspetti centrali da valutare nella redazione/analisi di un patto di non concorrenza.
Un accordo ben formulato tutela l’azienda ed il lavoratore, ma solo se rispetta i principi di proporzionalità e trasparenza imposti dalla normativa e consolidati dalla giurisprudenza.
CONCLUSIONI OPERATIVE
Il patto di non concorrenza può essere uno strumento utile all’impresa, ma deve essere redatto con attenzione:
- rispetto della forma e dei requisiti di legge;
- bilanciamento tra esigenze aziendali e diritti del lavoratore;
- previsione di un compenso proporzionato.
In mancanza di tali accorgimenti, il patto è esposto a contestazioni giudiziali e alla dichiarazione di nullità, con conseguente inapplicabilità e potenziale risarcimento in favore del lavoratore.